Ormai sono mesi che, sia in TV che sui giornali, si parla di deflazione. Sembra una nuova malattia che aggredisce la ripresa economica. Come al solito, è raro ascoltare un telegiornale che spieghi il meccanismo della deflazione ed illustri i danni che può causare.
Abbiamo passato 30 anni a combattere l’inflazione, nemico dichiarato dei consumatori. I prezzi salivano ed il potere d’acquisto del denaro scendeva: ci sentivamo sempre più poveri. Conveniva comprare oggi, perché domani il prezzo del bene sarebbe stato più alto. Questo comportamento però produceva un aumento dei consumi e maggiore richiesta di beni. La produzione aumentava e le imprese assumevano dipendenti per far fronte alle maggiori richieste. Le banche centrali erano costrette ad aumentare il tasso di interesse per disincentivare il ricorso al credito da parte di famiglie e imprese. Il debito pubblico cresceva per effetto dell’elevato costo per interessi e il valore della propria moneta rispetto alle altre diminuiva. Importazioni sempre più care alimentavano questa spirale.
Negli anni ’80 in Italia l’inflazione raggiungeva vette del 20% annuo ed i tassi sui depositi in c/c si aggiravano intorno al 18%. Ci sono ancora oggi risparmiatori che ricordano quegli anni con grande nostalgia: prendere il 18% senza rischio! Peccato che il rendimento reale, era negativo: il valore reale del capitale più gli interessi diminuiva nel tempo.
Negli anni ’90 le banche centrali fecero di tutto per combattere l’inflazione e infine ci riuscirono, portandola intorno al 2%, valore considerato di equilibrio. E perché allora non azzerarla completamente, in modo tale che il potere d’acquisto dei nostri soldi non diminuisca?
Ecco qui che salta fuori la deflazione. Se i prezzi non salgono (inflazione uguale a zero) e forse tendono a diminuire, non c’è bisogno di comprare oggi perché domani potremmo trovare lo stesso bene ad un prezzo più basso. E allora aspettiamo. Questo comportamento diffuso si traduce in minori consumi, minore richiesta di beni ed innesca una serie di eventi.
Se tutti comprano meno in attesa di prezzi più vantaggiosi, si realizza una contrazione dei consumi. Questo porta ad un calo della produzione, le imprese licenziano perchè non riescono ad impiegare tutti i lavoratori che hanno assunto in passato; più disoccupati significa minore potere d’acquisto delle famiglie e quindi ancora contrazione dei consumi. Oltre a ciò, il gettito fiscale diminuisce e di conseguenza i governi tendono ad aumentare la pressione fiscale per contrastare il minor gettito. Ma questo si traduce in minor risorse a disposizione delle famiglie e delle imprese, quindi minori consumi e calo della produzione. Si innesca così un circolo vizioso pericoloso.
In uno scenario di deflazione le banche centrali riducono i tassi di interesse (oggi sono vicini allo zero) per permettere alle famiglie ed alle imprese di indebitarsi a basso costo per consumi ed investimenti. Ma questo può non bastare, come sta succedendo attualmente. Nel 2008 la Federal Reserve, banca centrale americana, ha “inventato” alcune manovre aggiuntive che si sono rivelate vincenti, mentre in Europa ancora non si riesce a trovare il bandolo della matassa. Ma questa è un’altra storia.